Sapresti spiegare a un marziano che lavoro fai?

È la domanda che spesso poniamo a chi sta intraprendendo un nuovo percorso professionale: serve a comprendere quali obiettivi si hanno e da che punto si parte per una nuova strada.

Ma rispondere non è così facile, le risposte sono molteplici e dipendono da molteplici fattori. Se ne possono individuare quattro:

  • Tipo di organizzazione
  • Approccio manageriale dell’organizzazione
  • Settore
  • Seniority

Ma non sono le uniche varianti da considerare. Passando in rassegna ognuno di questi fattori ci rendiamo conto di come il contesto in cui operiamo ha una forte influenza sul nostro futuro, ma questo non dovrebbe sorprenderci, l’identità professionale va individuata prescindere dal contesto. Ciò che invece risulta più rilevante è la resistenza al cambiamento in alcuni scenari. 

Il tipo di organizzazione in cui operiamo può dirci moltissimo del nostro futuro: molto spesso nei contesti aziendali le posizioni vengono progettate senza dei reali confini. Non è infrequente, infatti, che in fase di consulenza di carriera il professionista affermi di avere una Job Description di riferimento della propria mansione, ma che poi si sia ritrovato a fare tutt’altro, sfociando ampiamente in mansioni e posizioni differenti. Questo avviene perché alcune organizzazioni in questo modo si illudono di abbattere i costi del personale: si è convinti, cioè, che più mansioni un individuo svolga e meno sia necessario assumere nuove persone. Inoltre, in questo tipo di organizzazioni molto spesso si pensa che le persone, seguendo questo schema, possano essere intercambiabili. Ma si tratta di pura illusione: in primis questo genera un elevato turnover, che non solo implica costi di selezione, ma genera periodi di bassa produttività, poiché le nuove assunzioni sono caratterizzate da periodi di assestamento legati all’apprendimento, in cui semplicemente non si è ancora performanti e moltiplicandoli abbiamo un forte impatto sulla produttività. Ed ancora: un dibattito sull’organizzazione specifica delle mansioni dovrebbe risultare superato dalla discussione, alquanto datata, su fordismo e taylorismo, si presume dunque sia diffusa una maggiore consapevolezza dell’organizzazione del lavoro. Dalla cultura aziendale, va de sé, dipende la cultura manageriale: avremo necessariamente molte difficoltà se i modelli non sono avanzati. Nonostante questo, occorre comprendere che le organizzazioni di ridotte dimensioni vanno incontro, in modo naturale, ad una maggiore trasversalità delle mansioni, ma quando questo avviene in un grande gruppo è necessario fermarsi per porsi alcune domande fondamentali sulla progettazione dei processi.

Lo sviluppo del percorso professionale può arrestarsi per tanti motivi o può esserci semplicemente la necessità da parte del professionista di correggere la direzione o di accelerare verso gli obiettivi: una figura junior avrà sicuramente molta più malleabilità e adattabilità, anche se molto spesso non è semplice far trasparire le nostre competenze: in Italia di frequente le selezioni avvengono in modo stereotipico, calcando modelli che non hanno più ragione di essere. Esiste una forte resistenza verso i percorsi professionali misti o i percorsi formativi trasversali, che coniugano percorsi scientifici e umanistici o tecnici e scientifici, oppure umanistici ed economici, ma non è un ostacolo impossibile da superare, ma certamente una delle occasioni in cui raccontare chi siamo non è così scontato. Se il nostro settore di riferimento è relativamente giovane e dunque i profili professionali restano indefiniti, allora siamo di fronte all’unico caso in cui può effettivamente avere senso non dare affatto una definizione del nostro profilo, ma semplicemente raccontare chi siamo dando una panoramica di ciò che concretamente sappiamo fare: definirsi un web designer, un social media manager, un programmatore, può assumere un senso molto diverso a distanza di pochi anni.

In conclusione: dire chi siamo professionalmente può avere un senso molto differente a seconda del contesto, ma non necessariamente dobbiamo seguire strade già percorse. C’è molto da fare in questa direzione per cambiare la cultura del lavoro, della selezione e delle competenze. Ma come in tutte le cose basta conoscere il metodo e raggiungere il risultato è molto più facile di quanto possa sembrare

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