Del fenomeno del quiet quitting, ovvero il progressivo disingaggio del collaboratore che pur non collima nelle sue ufficiali dimissioni volontarie, se ne parla già da tempo. Il quiet quitting si presenta come l’alternativa all’abbandono del posto di lavoro non solo per la mancanza di opportunità professionali migliori all’esterno ma anche e soprattutto per la ricorrente percezione di mancato sviluppo del proprio ruolo e carenza di opportunità di crescita interne, che minano la motivazione del dipendente a contribuire con le proprie competenze ai successi dell’organizzazione.
Contemporaneamente stiamo assistendo ad un altro fenomeno silenzioso, meno inflazionato nei discorsi organizzativi, seppur di forte impatto sulle dinamiche dei team e soprattutto sull’engagement delle risorse coinvolte.
Ma che cosa si intende per quiet promotion?
In generale il quiet promotion indica quella situazione in cui un collaboratore vede affidategli responsabilità maggiori o mansioni di complessità sempre crescente – e per un lasso di tempo prolungato – senza che questo si traduca in un riconoscimento effettivo dell’avanzamento di ruolo; in poche parole all’aumento di responsabilità e tenore delle attività non corrisponde una promozione, in termini di miglioramento del job title, del livello contrattuale e di quello retributivo.
L’avanzamento di carriera avviene quindi a metà: se da una parte si assiste ad un accrescimento delle competenze dall’altra, in mancanza di un riconoscimento a breve-medio termine, la carriera e la competitività del profilo professionale subiscono un brusco rallentamento. Questo può portare a risultati rischiosi sia per l’organizzazione sia per la persone:
- Dimissioni effettive: la persona rivende le competenze all’esterno al fine di capitalizzare la crescita non riconosciuta all’interno dell’attuale azienda, creando una vacancy non solo formalmente in termini di pura forza lavoro ma anche in termini di competenze preziose che il team e l’organizzazione perdono.
- Quiet quitting: la promozione silenziosa può avere un effetto boomerang quando demotivazione e scarsa fiducia derivanti dai mancati riconoscimenti si traducono in disingaggio e rassegnazione.
Entrambi gli scenari sono da evitare ma la buona notizia è che possono essere scongiurati con un approccio programmatico e strategico al Talent Development:
- Processi chiari di feedback e criteri oggettivi e condivisi di valutazione della performance.
- Conseguenti processi di salary review e rewarding coerenti e meritocratici.
- Comunicazione aziendale trasparente rispetto ai sistemi di incentivi e alle tempistiche: avere dei piani di sviluppo interni definiti e condividerli con la popolazione aziendale e la linea manageriale fa chiarezza in merito alle aspettative dei collaboratori.
- Mappatura delle competenze interne, individuazione delle persone ad alto potenziale e strutturazione di piani di internal mobility.
- Formazione e sensibilizzazione dei manager alla condivisione delle informazioni.
In conclusione, se l’iniziale affidamento di maggiori responsabilità e compiti può essere evidenza della fiducia che i manager e l’organizzazione nutrono nei confronti di alcuni collaboratori (e per la risorsa un prezioso momento di training on the job), ciò deve rappresentare soltanto una breve transizione verso un obiettivo chiaro e condiviso.
Il Talent Development oggi rappresenta la logica più efficace per il trattenimento delle competenze e avere dei consulenti al tuo fianco che ti supportino nell’individuazione degli strumenti più efficaci può essere la soluzione.