Skills mismatch: comprendere il fenomeno attraverso i dati

Lo skills mismatch è uno dei temi più presenti tra gli articoli di giornale, gli studi e i report che trattano la situazione attuale del mercato del lavoro, nonché un problema in diffusione e senza apparente soluzione.

Seppur sia un fenomeno che riguarda più Paesi in Europa, in Italia rappresenta una questione più urgente data la lenta crescita della produttività del lavoro del nostro Paese specialmente nel settore manifatturiero e rispetto a Spagna, Francia e Germania (dati: Eurostat; fonte: elaborazioni centro Studi Confindustria su dati Eurostat); basti pensare che il tasso di crescita medio annuo della produttività del lavoro in Italia nel periodo 2014-2022 è stato pari allo 0,5% contro quello media annuo Europeo nello stesso periodo pari all’1,3 % (fonte: Istat).

Chiarire il fenomeno dello skills mismatch attraverso i dati

Lo skills mismatch è la mancata corrispondenza tra il fabbisogno di competenze richieste dalle imprese e quelle in possesso dalle persone (attive nel mercato del lavoro o in formazione e in cerca di occupazione). Attualmente riguarda 1,3 miliardi di persone nel mondo e si stima riguarderà 1,4 miliardi di persone a livello globale entro il 2030 (fonte: Asnor).

Il caso dell’Italia: competenze mancanti o in fuga

I due fenomeni che concorrono al peso dello skills mismatch del mercato del lavoro italiano sono i bassi titoli di studio e la fuga dei cervelli. In buona sostanza abbiamo pochi laureati (solo il 23,4% della popolazione italiana ha un livello di istruzione terziario, il valore più basso in Europa dopo la Romania, dati Eurostat, fonte: elaborazioni OCPI e Osservatorio CPI Università Cattolica) e una quota stimata di questi del 5% va all’estero per opportunità professionali migliorative (dati Almalaurea).

La domanda delle imprese e il ruolo della formazione

Nonostante la domanda di laureati rispetto alla domanda totale di lavoro ricopra la percentuale minore (15,1% del totale dei posti di lavoro programmati, dati: Unioncamere), gli assunti effettivi in questo pool sono solo l’11,9%, con uno scarto quindi di 3 punti percentuali. Il mismatch maggiore lo si ha però nel pool che racchiude le persone con qualifica di formazione professionale: il 20,3% degli assunti totali ha un diploma professionale contro un fabbisogno da parte delle imprese di questo tipo di lavoratori e relative competenze del 36,2% (e relativi posti di lavoro programmati), con uno scarto quasi del 16%.

Lo scarto totale rappresentato dai due principali mismatch è pari quindi al 19%. Ma chi risolve questo scarto?

La risposta è facile ma non rassicurante: da chi non possiede alcun titolo di studio (18,9% dei posti totali di lavoro programmati contro il 38,1% degli assunti effettivi).

Questo fenomeno è chiamato underskilling o underqualification (parte del qualification mismatch o mismatch verticale), a rappresentare la situazione in cui un lavoratore con qualifiche e competenze inferiori ricopre ruoli e svolge mansioni per i quali sarebbero necessarie qualifiche e competenze superiori.

Esiste però anche un secondo tipo di mismatch, detto mismatch orizzontale, che riguarda principalmente il mondo dei laureati (e che potrebbe rispondere quindi allo scarto domanda-offerta di questo pool specifico). A determinare quest’ultimo mismatch è il mancato incontro tra domanda e offerta dato dalla scarsità di laureati/specializzati in discipline molto richieste e la sovrabbondanza di laureati/specializzati in discipline poco richieste. In poche parole, il disallineamento tra formazione universitaria ed esigenze del mercato. Un caso esemplare è lo scarto determinato dalla domanda (alta) di laureati nelle discipline ingegneristiche e informatico/tecnologiche contro il basso numero di laureati nelle stesse e, viceversa, la domanda (bassa) di laureati in discipline umanistiche della comunicazione contro un numero in proporzione assai maggiore di laureati provenienti da queste aree.

Le azioni possibili e i contributi della consulenza alla diminuzione dello skills mismatch

Posto che solo adeguate riforme del sistema produttivo e di quello universitario risolverebbero concretamente il problema, esistono sicuramente alcuni contributi immediati che possono aiutare le imprese ad evitare che lo skills mismatch produca un effetto negativo sulla loro competitività:

  • Formazione: percorsi di formazione all’ingresso e di formazione continua strutturati consentono di diminuire lo scarto tra competenza desiderata e competenza disponibile;
  • Contatto diretto con scuole di formazione e università: l’incontro tra questi due mondi favorisce la condivisione delle necessità da parte delle imprese, produce informazione sulle professioni e ne aumenta l’attrattività, dall’altra parte motiva gli istituti di formazione alla strutturazione di corsi altamente professionalizzanti;
  • Academy interne alle aziende per il trasferimento di expertise specifiche e costose da reperire nel mercato esterno già “pronte”;
  • Percorsi ad hoc di mentoring che diano valore all’interscambio di competenze, anche tra collaboratori di diversa seniority.

In ultimo ma non per importanza, il ruolo dei professionisti dell’orientamento, della consulenza di carriera e della formazione possono ad oggi rappresentare un contributo importante nell’orientare giovani neolaureati e studenti nella lettura del mercato del lavoro e delle prospettive professionali. È determinante in questo senso l’investimento da parte delle istituzioni scolastiche ed universitarie in percorsi di formazione ed orientamento professionale gestiti da esperti, al fine di evitare di creare pool di titoli di studio scarsamente spendibili.

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